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L’importanza del marchio.

Fra i marchi che valgono di più al mondo c’è anche Apple, che, superando Google, si colloca al primo posto della classifica del 2014 elaborata da Eurobrand.

Nel contesto internazionale sono i grandi della tecnologia a dominare l’elenco, i primi 10 su 100 che sono stati presi in considerazione dalla società tedesca, sono statunitensi. Nessuna marca italiana, invece, è presente nella classifica e questo la dice lunga sul ruolo che il nostro Paese sta detenendo in campo economico.

L’anno scorso Google, con 159 miliardi di dollari, era riuscito a superare Apple, che si era fermata a 148 miliardi. Adesso il colosso di Steve Jobs è stato interessato da una crescita del 2,8%, mentre l’incremento di Google è pari al 22,7%. Davvero un bel salto in avanti.

Dopo il primo e il secondo posto, occupati rispettivamente da Apple e da Google, al terzo Coca-Cola, con 64,8 miliardi. Al quarto posto ritroviamo Microsoft con 62,3 miliardi di valore, mentre al quinto IBM, che ha attraversato un incremento del 6% arriva a 54,4 miliardi. McDonald’s si ferma a 48 miliardi. Il settimo posto è occupato dallo stesso brand dell’anno scorso, Procter &Ggamble, con 47,8 miliardi. Riesce a salire di un posto Johnson & Johnson, con 47,2 miliardi. Al nono posto troviamo AT&T, operatore mobile statunitense, che ha segnato un incremento del 9,8% e arriva a 45 miliardi. Al decimo Philip Morris, con 44,8 miliardi.

Non mancano altri grandi della tecnologia, come Amazon al 17esimo posto, Intel 26esimo. Facebook passa dalla 53esima alla 39esima. Per l’azienda c’è stata una crescita del 28,1%. Tra i marchi europei sono da segnalare alcuni, per esempio Nestlé, con 33 miliardi ed LVMH Mot Hennessy Louis Vuitton, che con 39,3 miliardi si colloca al 12esimo posto della classifica. Complessivamente i marchi USA rappresentano il 46%, gli europei il 41% e gli asiatici il 13%.

Ed ora un occhio critico verso l’Italian business : qualcuno ha fatto i conti dei marchi noti ed affermati che sono stati ceduti scriteriatamente ad investitori esteri? Forse c’è una schiera di imprenditori nostrani incapaci di credere nella forza del proprio business e nelle possibilità del Paese in cui si trova ad operare?

Facciamo un elenco : Buitoni, Bulgari, Carapelli, Bottega Veneta, Riso Flora, Krizia, Indesit, Loro Piana, Algida, Pernigotti, Telecom Italia, Motta, Parmalat, Gucci, Perugina, Peroni, Fendi, Valentino …

Un elenco che potrebbe continuare… di sicuro c’è che negli ultimi 30 anni lo shopping dei vicini europei (a partire da Nestlè e Unilever per l’alimentare ed LVMH e Kering per la moda) fino ad arrivare negli ultimissimi alti all’assalto di Emirati, Russi e Cinesi.

Tutti riconoscono il valore dei nostri prodotti e tutti sono disposti ad investire per rilevare i nostri brand.

La vicenda Parmalat è andata addirittura aldilà dei confini dell’economia : assalita dalla francese Lactalis che si è cosi’ disfatta in un colpo solo di un pericoloso competitor comprandolo (soprattutto dopo il risanamento pienamente riuscito al commissario Enrico Bondi) nonostante le resistenze politiche italiane dell’allora governo, poco efficaci di fronte alla chiusura di quello francese nel difendere gli interessi nazionali.

Il marchio di un’azienda ha un valore non solo per l’importanza della combinazione di nome, logo e payoff che lo costituiscono, ma anche dal significato per i clienti, fornitori, banche, investitori, famiglie dei dipendenti… una corretta politica di marketing strategico impone di pensare al brand come un elemento chiave per trasmettere un concetto, un significato, un’idea al mercato.
Più in generale il marchio deve essere pensato per racchiudere in sè un’idea di valori, sul prodotto e sull’azienda, da far percepire.

Arrivati a questo punto, proviamo a comprendere quali sono i fattori determinanti nella costruzione di un brand di valore :

1) La qualità è un ingrediente vitale per una marca. Se il prodotto è scadente il marketing non potrà fare miracoli.

2) Il posizionamento è il risultato di una posizione chiara, spesso unica nel mercato di destinazione e si raggiunge attraverso il nome, il logo, il livello dei servizi, le garanzie del prodotto, l’imballaggio e il modo in cui viene consegnato.

3) Il riposizionamento è una mutazione tesa ad adattarsi ad un cambiamento percepito nei gusti dei consumatori o nelle diverse condizioni del mercato in cui opera.

4) La comunicazione ha un ruolo cruciale nell’affermazione del brand. Tutti gli elementi devono essere utilizzati per sviluppare e sostenere le percezioni dei clienti. La sfida è costruire consapevolezza, sviluppando la personalità del marchio per rafforzarne visibilità e percezione.

5) Il vantaggio della “prima mossa” è rappresentato da un marchio che si addentra per primo in un mercato (con tutti i benefici che ne derivano) affermandosi così nella mente dei consumatori. Ma l’inevitabile posizione dominante che ne deriva non è una sicurezza per il futuro : i concorrenti sono sempre pronti ad imitare il business e replicarlo, per cui è sempre necessario evolversi.

6) Le prospettive a lungo termine, ovvero la necessità di investire nel brand, costruire la consapevolezza del cliente e creare la sua fidelizzazione richiede tempo. Investire in un marchio vuol dire farlo anche a discapito della redditività a breve termine.

7) Il Marketing interno è importantissimo, tutta l’azienda deve comprendere a fondo i valori del marchio, il posizionamento nel mercato ed il target di riferimento. Qui le mancanze possono avere effetti devastanti sul brand.

I sette valori identificati da David Jobber, professore all’Università di Bradford e grande esperto di marketing, sono riferiti al marketing tradizionale, ma applicabili anche alle innovative tecniche di web marketing e Seo Marketing, che non possono prescindere della percezione del mondo reale di quanto viene prodotto e proposto.